CINEMA E DESIGN AL SALONE DEL MOBILE: LO SPAZIO COME SCENA EMOTIVA

 

Già nel 2024 il Salone del Mobile aveva tracciato un solco importante nel dialogo tra cinema e design, sottolineando come entrambi condividano la capacità di costruire mondi e trasmettere emozioni. Il progetto cardine di quell’edizione è stato “Interiors by David Lynch. A Thinking Room”, un’installazione concepita dal celebre regista americano, che trasformava lo spazio in una sorta di rifugio mentale, intimo e simbolico.

Lynch ha portato la sua poetica visionaria dentro il Salone, offrendo un’esperienza immersiva dove il design diventava introspezione, sogno, inquietudine e desiderio, in perfetto stile cinematografico. Le luci, i materiali e la disposizione degli arredi parlavano un linguaggio narrativo e psico-emotivo, molto vicino al cinema d’autore.

 

 

Questa contaminazione tra cinema e design ha dimostrato come lo spazio fisico possa essere pensato come una scenografia, capace di riflettere l’interiorità umana, i contrasti e le tensioni narrative. Un dialogo che nel 2025 si è ampliato e strutturato, ma che ha le sue radici proprio in quella importante riflessione sull’identità sensibile e narrativa degli ambienti.

 

 

Cinema e Design: Un Dialogo Visivo e Narrativo al Salone 2025

Al Salone del Mobile 2025, la connessione tra cinema e design si fa più intensa che mai, in una contaminazione creativa che celebra la forza del racconto visivo. Il design, come il cinema, è narrazione: entrambi costruiscono mondi, evocano emozioni, mettono in scena atmosfere. Quest’anno, questa sinergia prende forma attraverso installazioni immersive, scenografie evocative e progetti che si ispirano direttamente al linguaggio cinematografico.

Il Salone accoglie registi, scenografi e designer in un’unica grande narrazione spaziale, dove oggetti e ambienti diventano protagonisti di storie che parlano di memoria, futuro e sostenibilità. In particolare, la presenza di autori come Paolo Sorrentino e la partecipazione di set designer provenienti dal mondo del cinema sottolineano quanto il confine tra le due discipline sia sempre più fluido. Il design non è più solo funzione e bellezza, ma diventa esperienza da vivere, storia da abitare, proprio come accade sul grande schermo.

 

 

Ha un nome evocativo e toccante l’installazione che Paolo Sorrentino inaugurerà in occasione del Salone de Mobile 2025. Si intitola La dolce attesa e, sono parole del regista, «sarà uno spazio atemporale, un ponte invisibile tra presente e futuro, in cui il desiderio si intreccia con il timore di incontrare il proprio destino». Destino che per i napoletani è da sempre visto come una forza ineluttabile, qualcosa che guida gli eventi e che l’uomo può solo accettare con saggezza e ironia. Una  sorta di danza tra il presente e il futuro, un’attività che incarna la tipica resilienza di questo popolo diverso da tutti gli altri.

«L’attesa è un vuoto da riempire o un’opportunità da accogliere, spesso è pura angoscia», spiega il regista di Parthenope. «La dolce attesa sarà dunque un viaggio, capace di stordire e ipnotizzare».

La Dolce Attesa: l’Ispirazione come Spazio Sospeso

Nel cuore pulsante del Salone del Mobile 2025, tra tecnologia, forme e materia, un’installazione si staglia come una parentesi poetica, un rallentamento volontario del tempo: “La dolce attesa” di Paolo Sorrentino, allestita tra i padiglioni 22 e 24, ci invita a un’esperienza che esula dal prodotto per entrare nella sfera dell’essere.

 

 

L’opera, ispirata a una sala d’ospedale, si fa metafora radicale dell’esistenza: uno spazio di transizione in cui il tempo si dilata e il corpo, ma soprattutto la mente, è costretta a fermarsi. Ma è proprio in questa sospensione, in questa terra di mezzo, che il design torna alla sua funzione più profonda: ispirare. Perché il design non nasce solo dalla funzione, ma anche e soprattutto da un vuoto fertile, da un momento di attesa in cui la visione si compone lentamente, come nei sogni.

Sorrentino trasforma la sala d’attesa – luogo di ansia, diagnosi, incertezza – in un tempio dell’interiorità, in un carosello delicato dove si può finalmente ascoltare il proprio respiro e riscoprire il tempo come materia viva. In questa installazione, l’attesa non è più solo vuoto da riempire, ma diventa spazio creativo, luogo originario dell’ispirazione. È qui che design e arte si fondono per restituirci una nuova forma di consapevolezza: l’ispirazione come processo lento, profondo, necessario.

 

La dolce attesa: l’ispirazione come spazio sospeso

 

La scelta di mescolare elementi ospedalieri e giostre infantili è un gesto quasi zen: ci mette di fronte alla fragilità della condizione umana, ma anche alla sua possibilità di leggerezza. La scenografa Margherita Palli – maestra della costruzione scenica – accompagna Sorrentino in questo viaggio emotivo, confermando che il design è anche mise-en-scène dell’anima: disegno dello spazio, sì, ma anche disegno di ciò che lo spazio ci restituisce interiormente.

In questa chiave, “La dolce attesa” si lega idealmente al concetto di design biofilico e alla filosofia di “Thought for Humans” già protagonisti al Salone 2025. Non più oggetti da possedere, ma esperienze da attraversare. Ambienti che ci ricordano che vivere bene non significa solo abitare uno spazio bello, ma sapersi fermare, ascoltare, lasciarsi attraversare.

Come scriveva Italo Calvino, “l’attesa del tempo è la sostanza stessa del tempo”. In un’epoca che ci vuole sempre veloci, produttivi, connessi, Sorrentino ci riporta al cuore dell’ispirazione: quella zona silenziosa dove ogni cosa può ancora accadere, dove l’idea non è ancora forma, ma desiderio, intuizione, apertura.
E forse è proprio lì che nasce il vero design.

Accanto a “La dolce attesa” di Paolo Sorrentino, il Salone del Mobile 2025 ospita un’altra installazione di straordinaria intensità: “Mother”, l’opera totale di Robert Wilson, allestita nel cuore simbolico di Milano, il Castello Sforzesco. Qui, la Pietà Rondanini di Michelangelo – forse la più intima e incompiuta delle sue sculture – viene immersa in una dimensione sensoriale dominata da luce, suono e silenzio, che trasforma lo spazio museale in una liturgia laica dell’assoluto.

Wilson, maestro del teatro visivo e dell’astrazione, non si limita a esporre un’opera: ne dispiega l’aura, creando un’installazione che è al tempo stesso contemplazione e rivelazione. In Mother, il tema della maternità non è solo biologico o narrativo, ma esistenziale: madre come archetipo, come origine e fine, come grembo del tempo e del dolore.

Se Sorrentino esplora l’umano attraverso l’attesa, Wilson affronta l’ineffabile, il mistero dell’essere e del trapasso, la bellezza tragica dell’incompiuto. Il design qui si fa presenza immateriale, vibrazione luminosa, forma dell’invisibile: ispirazione che non nasce dalla materia, ma dal vuoto che la circonda. Un’esperienza che interroga il senso stesso della creazione – artistica, spirituale, umana – e che, nella cornice rinascimentale del Castello, si fa ponte tra epoche, linguaggi e percezioni.

 

Roberto Leone